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La lapide dimenticata

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Ultimo aggiornamento:

Sul fianco sinistro a circa trenta metri dall’entrata della Casa Circondariale di Forlì, esiste dal 1889 una lapide, diventata per il tempo passato quasi illeggibile per l’invasione di tutto il verde che la circonda, posta sul muro di cinta dell’antica rocca. Ricorda la fucilazione di quattro forlivesi alle ore 8 del 25 giugno 1852. Alla presenza di molto popolo (vedi immagine).

A questo proposito voglio far notare un errore presente nella guida di Ettore Casadei. Lui scrive che l’esecuzione avviene il 25 agosto, sbaglia mese. Nella Guida di Forlì di Calzini e Mazzatinti del 1893 non esiste nulla che parli della lapide dei fucilati. Di questo manufatto non mi è stato possibile trovare un minimo di notizie. Nessun cenno su chi l’aveva pensata e fatta fare, non un nome e neppure una data. È caduta in un anonimato totale, ieri come oggi.

Nella lapide, presente oggi, sulla parte inferiore destra è posta una sigla G.V.C. e l’anno 1889. La fucilazione avviene nel giugno 1852, perché la lapide porta la data del 1889, cioè di ben 37 anni dopo? Io non sono riuscito a decifrare questa sigla. Sono le iniziali di un nome? Sono simboli massonici? Ci sono delle ipotesi, ma scarsamente convincenti. G starebbe per Giustizia, V per Verità e C per Civile. Così Come Guardia Volontaria Comunale. Ma rimango della mia idea che il tutto debba inserirsi nella simbologia massonica. Questa però non è stata l’unica lapide. Grazie al contributo dell’amico Gabriele Zelli, sappiamo che ne è esistita un’altra precedentemente, sempre con la stessa scritta, ma a differenza di questa oggi presente, non aveva data e la sigla in calce era composta da due lettere, G.V. e non da tre come si possono con volontà leggere oggi: G.V.C. Allora perchè la lapide è stata rifatta? Era stata dimenticata l’ultima lettera della sigla? Tutte domande senza risposta.

mistero

Spero che qualche lettore sia in grado di interpretarle, io, nonostante le mie ricerche, non ho trovato una risposta convincente. Ma perché Varoli Bartolo, Zanchini Francesco, Migliorini Odoardo, Valpondi Luigi sono stati condannati a morte? Cerchiamo di dare qualche risposta. Il 29 luglio 1851 la Sagra Consulta (il Tribunale Ecclesiastico) giudica un fatto, oggi diremmo di cronaca nera, relativo all’aggressione subita da Antonio Romanini detto Roverino.

La domenica del 16 dicembre 1849 proveniente da Faenza, un’ora prima dell’Ave Maria, Roverino entrava nell’osteria di Giuseppe Foschini detto Falpino, poco fuori porta Schiavonia. Qui iniziava la sua cena fatta da un collo di pollo con del pane che aveva con sé. Ordinava anche del vino che iniziava a bere. Nel frattempo entrava tale Luigi Valpondi detto Uccellini assieme ad un gruppo di persone che senza dire parola si scagliavano contro Romanini e chi, con pistole, chi con sassi lo colpivano alla testa lasciandolo esanime sul pavimento. Fatta quest’aggressione il gruppo guidato da Valpondi se ne andava. Grondante sangue per le percosse subite, Romanini fu soccorso dagli altri avventori e rianimato.

Faceva quindi ritorno alla sua casa. Il medico chiamato dichiarava che era in pericolo di vita. Infatti il giorno successivo cessava di vivere. Le indagini portavano all’individuazione della “conventicola” armata che aveva compiuto l’aggressione. Dalle testimonianze raccolte veniva esclusa la provocazione da parte del Romanini. Invece Valpondi avrebbe detto: giusto te andavo cercando e dopo averlo colpito, Bartolo Varoli con la pistola in pugno gli diceva: non ti muovere che ti ammazzo. E tutti gli atri a menar colpi sulla testa dello sfortunato Roverino.

Ma perché questo gesto? In questi anni ‘48,‘49,’50 ed anche precedentemente, Forlì e la Romagna vivono una situazione sociale e soprattutto politica molto difficile. I fronti contrapposti sono i liberali e i papalini e in mezzo l’esercito austriaco che supporta il potere papalino e controlla l’ordine pubblico. Teniamo presente l’esistenza della Repubblica Romana mazziniana, la prima guerra d’indipendenza e le fazioni si sentono sempre più coinvolte in queste lotte politiche già ancora dagli anni ‘30. Non si può dimenticare l’eccidio di Forlì del 21 gennaio 1832. La truppa papalina (3.000 uomini e 300 cavalieri), proveniente da Cesena dopo aver sconfitto i cesenati nella battaglia del Monte, nella sera del 21 gennaio 1832, entrata in Forlì, per motivi incerti, dà origine a tali e gravi disordini che provocano fra morti e feriti ben 83 vittime. E’ praticamente una caccia all’uomo per le vie della città. E’ chiaro che un tragico fatto come questo approfondisce sempre più il baratro politico fra liberali (sconfitti a Rimini nel marzo del ‘31 e nella battaglia di Cesena nel gennaio ‘32) e i papalini.

Appare evidente che il gesto che vede vittima Romanini è proprio un esempio di questo stato d’animo violento e bellicoso. Romanini veniva indicato come uomo legato al Governo Pontificio e pertanto inviso al partito opposto. Di conseguenza il misfatto era stato commesso per spirito di parte, non per altri motivi. La sentenza emessa parla di omicidio premeditato (?) in conventicola armata, compiuto da: Luigi Valpondi, Bartolo Varoli, Niccola Zanchini, Francesco Zanchini, e Odoardo Migliorini che vengono condannati alla pena dell’ultimo supplizio da eseguirsi a Forlì. Vengono poi dichiarati complici altri quattro di cui tre vengono condannati alla galera perpetua, perché maggiorenni. Il minorenne Gaetano Zampighi a vent’anni. Quindi la ripetuta cosiddetta conventicola armata era composta da dieci uomini. Però ne vengono fucilati non cinque bensì quattro, perché? Perché Niccola Zanchini riusce ad evadere dalla Rocca e risulta quindi contumace. Raggiunge l’Egitto dove però trova il modo di finire ancora nei guai. Infatti viene coinvolto in gravi contrasti fra egiziani ed altri italiani per uno sfregio ad un monumento sacro. Viene espulso e rinchiuso nella stiva di una nave dove vi rimane molti mesi finché giunge a Londra dove viene sbarcato. Qui entra in contatto con cospiratori italiani e solo nel 1861 tornerà Forlì. Morirà nel 1889.

Alla notizia della sentenza la città di Forlì è presa da profondo cordoglio e indignazione, in particolare per l’accusa di omicidio premeditato. Perché Romanini era un personaggio non certo encomiabile per diversi reati compiuti (tentata grassazione, complicità in furto, porto di coltello proibito) e per i quali era stato condannato e soprattutto per la sua scelta di campo al fianco dei papalini. La mattina dell’esecuzione la città rimane deserta e vengono chiusi negozi e botteghe. Una serrata vera e propria insomma. Ma questo segno di partecipazione al dolore delle famiglie, ricordiamo che ad Odoardo Migliorini era già stata somministrata l’Estrema Unzione in carcere e viene portato nel fossato della Rocca su una sedia, diventa anche protesta politica e per cui è colpa punibile, soprattutto perché l’ordine pubblico è in mano all’Imperial Regio Esercito austriaco che controlla la Romagna a sostegno del potere papalino. Così vengono comminate ben 72 multe da 40 a 3 scudi.
Questa la vicenda relativa alla lapide. Ma la pena di morte a Forlì aveva già colpito? Sì molte volte.

Possiamo quindi affermare che la pena di morte a Forlì non era un fatto eccezionale e andando a ritroso ne troviamo ben quattro nel 1700. Esattamente nel 1749, nel 1757 (due), nel 1785. Tutte condanne per reati comuni, possiamo immaginare omicidi. Esecuzioni eseguite con la forca, allora. Dove? Nella piazza maggiore! Fino al settembre 1802 quando lo strumento per le esecuzioni fu spostato nel prato della Rocca. Ecco su questa data 1802 vorrei soffermarmi un attimo per descrivere un’esecuzione avvenuta in Ravenna il 27 luglio. Non è cosa mia, bensì è il verbale stilato dal Segretario Zacchiroli del Prefetto del Rubicone Bartolomeo Masi. … Nella giornata del 27 luglio spirata venne eseguita in Ravenna la sentenza di morte nella persona di un certo…… reo di aver ucciso la nuora e il proprio figlio. La piazza era piena d’immenso popolo trattovi dal desiderio di veder punito il misfatto. Al tocco delle undici ore cade la mannaia e la giustizia è vendicata.

Tra l’affollato popolo trovavasi una donna imbecille coll’orror del delitto il ribrezzo del sangue … la sferza di un sole ardente che da lungo tempo le percuoteva la testa le riscaldava la debole e troppo viva immaginazione. Le sembra di veder il diavolo e questa si riempie di spavento e la stolta donna prorompe in alte grida. Per un momento restano tutti attoniti quindi i più timidi presi da un terror panico si danno precipitosamente alla fuga…. Come potete immaginare la piazza è sconvolta da gravi disordini con persone spinte, cadute e calpestate e solo a stento le autorità riescono a riportare la calma. È cronaca triste, ma vera.

Con l’arrivo dei Francesi alla fine del 1700 lo strumento per le esecuzioni diventa la ghigliottina e così i condannati vengono decapitati. Possiamo affermare, documenti alla mano, che per lo meno dal 1831 sono ben nove i condannati a morte. L’esecuzione di tutti questi ghigliottinati, a parte uno che per competenza territoriale avviene a Cesena, si esegue nel piazzale della Rocca, dove oggi c’è un giardino e la torre dell’acquedotto. Per i fucilati invece il luogo è il fossato a fianco delle mura della Rocca.
Forlì era quindi una città violenta? Direi proprio di sì. I contrasti politici sono pieni di violenza e quindi di omicidi, e la pena di morte non è un evento particolare, ma normale.

L’uso dello strumento ghigliottina, che i forlivesi vedono per la prima volta il 19 marzo 1801 quando viene piantata sulla gran piazza in modo equidistante fra la colonna della Madonna e via delle Torri. Questa macchina viene relativamente presto abbandonata, perché molto costosa e impegnativa. All’inizio il suo uso crea molti problemi che nascono dall’inesperienza e dall’incapacità degli addetti. Così sempre per la necessità di limitare le spese si sceglie l’uso dei moschetti. Le pallottole costano meno di tutto l’apparato della macchina! Infatti l’elenco spese (esecuzione a Cesena nell’agosto 1850) somma a scudi 147,50 che per allora non è proprio poco. Il “Maestro di Giustizia” (ossia il boia) viene fatto venire da Bologna per cui c’è la trasferta, il trasferimento con tre carri della macchina, un facchino, il compenso al Custode carcerario, agli inservienti, ai Gendarmi e tante altre cose sempre a pagamento. Pertanto un’esecuzione viene a costare molto allo Stato!

La fucilazione more belli viene usata in questi anni per il cattivo funzionamento della ghigliottina. E i corpi dei giustiziati? Dal settembre 1802 vengono sepolti nello stesso prato della Rocca, non più nel campo del Duomo o nella grande fossa detta trabocco dell’Ospedale. Però in Forlì, al di là di questi tragici fatti, esiste un’opera meritevole per carità e conforto. Una fra le sei famose Confraternite esistenti fin dal medioevo, chiamate dei Battuti: i Bigi (detti Babau, perché incappucciati e quindi non si vedevano i volti), i Verdi, i Celestini, i Bianchi, i Rossi. Una di queste è contraddistinta dal colore nero e viene anche chiamata la Compagnia della Buona Morte. Si occupa della sepoltura dei condannati e delle loro famiglie e di tutti gli assassinati nelle strade. Il cappio servito per l’impiccagione veniva bruciato a cura del Priore della Compagnia per evitare che si potessero commettere sortilegi e fattucchierie. In più la Compagnia con questue ed altro raccoglieva denaro che veniva usato e per i suffragi per l’anima del giustiziato e soprattutto per la sua famiglia. Le spese per l’esecuzione normalmente, ma non sempre, erano a carico del Comune.

La Compagnia della Buona Morte fu soppressa assieme ad altre Confraternite il 7 agosto 1798. Ho l’impressione che su questi tristi fatti forlivesi mi sia dilungato fin troppo. Aspetto però sempre che intervenga qualcuno per darmi la spiegazione della famosa sigla (G.V.C.) in calce alla lapide fatta e collocata dov’è nel 1889.

Ai gentili lettori: mi giunge notizia da un XXXIII grado della M. che il significato delle tre lettere GVC è Giustizi, Verità, Civiltà. Spero sia di vostro gradimento.

Agostino Bernucci